Essere aiutati ad aiutarsi

IL P.C.T.

Parent Counselling & Training

Secondo un’ottica multifattoriale qualsiasi problema, patologia, disturbo sono il prodotto di un insieme di cause ed elementi interagenti tra loro;  di conseguenza, anche gli interventi ed i trattamenti rivolti alla soluzione o alla gestione degli stessi devono essere necessariamente di tipo multidimensionale ed integrato, ove per integrazione si intende non solo una pluralità di metodi e tecniche, ma anche il coinvolgimento di più attori, siano essi professionisti o membri di reti informali e/o formali.

Spesso, durante un percorso terapeutico rivolto ad un bambino,  si tende per assurdo a trascurare il ruolo e l’influenza dei familiari sull’andamento e l’esito dello stesso: infatti il terapista si concentra, sia per competenze che per mandato, solo sul trattamento del soggetto disabile; dall’altra parte i genitori si limitano a consegnare in mani esperte il proprio figlio, talvolta con l’aspettativa che gli venga riconsegnato guarito e capace di affrontare la quotidianità senza dover mettere in campo anche risorse proprie della famiglia.

Ciò determina diverse conseguenze negative:

  • Il genitore, coltivando aspettative errate affronta stati di forte frustrazione, soprattutto quando si rende conto di non essere in grado di sapere gestire al domicilio o in luoghi pubblici determinati comportamenti problematici del proprio bambino. Una delle possibili reazioni è spesso quella di rivolgersi puntualmente all’esperto o per richiedere un intervento diretto o per avere istruzioni sul come agire nell’immediato.
  • Il terapista, dall’altra parte, può vivere anch’egli un senso di inefficacia o comunque di incapacità nel gestire non solo il soggetto in trattamento ma anche tutto ciò che riguarda la sua vita e le sue relazioni al di fuori del contesto terapeutico.

Per evitare che i genitori vengano considerati e si vivano come esterni alla presa in carico e, di conseguenza, per massimizzare i risultati dell’intervento, negli ultimi anni si è fatta sempre più strada l’idea e la necessità di coinvolgerli quali agenti di primaria importanza nello sviluppo dei figli, considerandoli come soggetti attivi all’interno del trattamento educativo/rieducativo e non elementi estranei ad esso.

Ciò fa sì che essi si rendano conto che anche le loro problematiche e il loro apporto sono importanti e di conseguenza si sentano più motivati ad utilizzare le proprie risorse, talvolta ignorate o scarsamente valorizzate.

Il P.T. si propone di modificare lo stile relazionale e gli atteggiamenti che influiscono negativamente sui comportamenti dei bambini: i genitori in pratica apprendono ad affrontare con efficacia i problemi che possono presentarsi nella vita di ogni giorno.

Dal momento che i familiari svolgono un ruolo attivo nel fronteggiare le difficoltà dei figli, il P.T. valorizza la loro esperienza e il loro senso di self-efficacy. Questo modello di intervento riconosce ai genitori una funzione primaria nell’esercitare un’influenza positiva sui figli: essi infatti non affidano il bambino in terapia con l’attesa che l’esperto risolverà il problema ma hanno bensì la percezione che il clinico mostrerà anche a loro come affrontare i problemi educativi, lasciando loro lo spazio di intervenire in prima persona.

Questo approccio di conseguenza restituisce ai genitori la responsabilità di aiutare i propri figli.

Tale concezione porta quindi ad assumere una prospettiva eco-comportamentale, promuovendo pertanto un modello di intervento comportamentale centrato sulla famiglia.

In generale il P.T. mira a:

  • migliorare la relazione e la comunicazione genitori-figli;
  • insegnare metodi educativi basati sull’osservazione sistematica del comportamento;
  • aumentare la conoscenza del genitore sullo sviluppo del figlio e sui principi che lo regolano.

Nel corso degli anni ci si è resi conto che l’efficacia dei programmi di P.T. aumenta quando i genitori, oltre alle attività educative, possono discutere con il gruppo o in sedute private anche di alcune questioni personali, come i sentimenti ambivalenti nei confronti del figlio, i dubbi sulla possibilità di riuscire a fronteggiare i problemi e il carico di lavoro richiesto, il senso di colpa per dover trascurare altri figli o il partner ecc.

Inoltre si è resa sempre più manifesta l’esigenza di spostare l’attenzione dall’educazione del figlio e dalle tecniche comportamentali di gestione del bambino, ai bisogni dell’intera famiglia.

I gruppi di P.T. consentono ai genitori di affrontare i compiti e le difficoltà educative aumentandone le competenze ma anche favorendo, in un clima collaborativo, la condivisione delle esperienze individuali.

La struttura e la durata del P.T. cambiano in funzione delle finalità del programma, dell’età dei figli, delle esigenze e delle caratteristiche dei genitori (età, status sociale, conoscenze di base ecc.), elementi questi che andrebbero tenuti in considerazione nella formazione dei singoli gruppi.

Il percorso sopra esposto quindi prevede e permette di integrare sia l’aspetto più propriamente teorico e tecnico, sia quello relazionale e di mutuo aiuto.

Il Parent Training può essere sviluppato sia come consulenza individuale, sia all’interno di gruppi educativi.

Nella mia esperienza ho potuto valutare l’efficacia di entrambe le modalità e quanto esse permettano di far emergere, per la loro stessa strutturazione, diversi tipi di problematiche, discussioni ed emozioni.

Infatti, ove possibile, suggerisco sempre una combinazione dell’intervento sul/col gruppo con quello sul/col singolo.

Proprio perché spesso i genitori avvertono il bisogno di un confronto più diretto ed intimo con l’esperto, nonché di sentirsi liberi di far emergere in una dimensione privata e quindi più protetta i propri vissuti, ho ritenuto utile unire ai benefici del Parent Training classico quelli del Counseling.

Dall’unione di queste due metodologie d’aiuto nasce quindi il progetto P.C.T (Parent Counseling & Training) per le famiglie con figli  disabili, in particolare autistici.

 

foto scattata durante una sessione di P.C.T. presso SCUOLABA a Brescia

In sintesi il servizio in oggetto è mirato a far emergere e/o rafforzare le abilità di coping che ogni sistema famiglia utilizza in situazioni di distress quali la nascita di un figlio con psicopatologia o disabilità.

In un’ottica preventiva quindi, il fine è proprio quello di individuare quei fattori di rischio che possono incidere sulle capacità di fronteggiamento dei genitori tra cui rientrano: instabilità dei rapporti di coppia, età, risorse finanziarie, livello socio-culturale, scarsità di servizi, problematiche relative ad altri figli ecc.

L’attività di gruppo inoltre, attraverso il confronto e la condivisione, permette al conduttore di guidare la discussione con l’intento di evitare che la disabilità prenda il sopravento, diventando l’unico argomento.

Il fine è quello di permette la condivisione ed il sostegno tra genitori che vivono la medesima situazione di crisi e di rendere gli stessi il più possibile efficaci nella gestione quotidiana del figlio.

Dal punto di vista organizzativo serve davvero poco per realizzare il Servizio.

L’apporto principale è dato dagli stessi partecipanti e l’eventuale materiale necessario viene fornito volta per volta dal conduttore.

I costi dipendono dal numero di partecipanti, dalla durata del progetto e da altri fattori.

Per saperne di più contattami compilando l'apposito form nella sezione CONTATTI.